La morte assurda

Una volta queste cose succedevano, almeno in Italia, solo per il calcio. Questo inizio non assolve nessuno e non condanna neanche il mondo del calcio. Ma un omicidio brutale legato alle rivalità tra tifosi di due squadre di basket, nel nostro Paese, non era mai accaduto. I fatti, drammatici, si riassumono come sempre in poche righe mostruose: una pietra ha sfasciato il vetro di un pullman e ha ucciso un autista incolpevole di 65 anni. Un innocente, colpevole di nulla, che sarebbe presto andato in pensione. Raffaele Marianella, romano, ma residente a Firenze. A lui va il nostro pensiero, e alla famiglia un abbraccio. Allo Stato spetta ora assicurare la verità e la giustizia, e anche la premier Giorgia Meloni ha reagito con sdegno e durezza: cose inaccettabili, i responsabili pagheranno.

Dodici persone, al momento in cui scrivo, sono sotto indagine. L’agguato sarebbe stato forse organizzato in chat, mentre il pullman con i giocatori della Pistoiese aveva appena lasciato Rieti, dove c’era stata una partita – diciamo così – accesa. Ma chiariamo subito: la partita più accesa del mondo, di qualsiasi sport, non può sconfinare in un inseguimento, in un agguato, in un assassinio brutale. Pare che la vittima non abbia avuto neanche il tempo di scansarsi o di rendersi conto di nulla, e che l’oggetto lanciato non fosse la pallina di una fionda per ragazzi. Qui si voleva fare male. Qui la situazione ha accecato la testa, la razionalità, il controllo, il limite, la decenza, il rispetto della vita. Non chiamiamolo neanche tifo, e non andiamo a cercare – anche nelle indagini e negli interrogatori – chissà quali “perché” o chissà quali fatalità. Il dramma è che oggi la violenza invade tutto e non c’è più niente che possa rappresentare un limite.

Torniamo all’inizio. Il fatto che queste follie fossero legate al mondo del pallone non è un anestetico di nulla. Quel mondo ha fatto e fa le sue battaglie. Ora tocca anche agli altri sport, dove un tempo forse le passioni patologiche non trovavano simboli né motivazioni. Ma noi non facciamo i sociologi né i moralisti dello sport. Io penso piuttosto a una sofferenza sociale diffusa, a un malessere grave e profondo, che ormai deve trovare uno sbocco — e che, quando lo trova, dilaga. Non sono neanche convinto della lettura ideologica: si parla di estrema destra nelle prime indagini, ma saranno appunto le indagini a dirci qualcosa in più. Adesso rimane lo sgomento, rimane il dolore e lo smarrimento di tutti i nostri valori. Un uomo non c’è più, dopo una partita di basket.

L’articolo La morte assurda proviene da IlNewyorkese.

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