Sembra un’America da incubo, quella raccontata attraverso alcuni titoli di giornali italiani: un’America che da un giorno all’altro potrebbe vietare l’ingresso ai cittadini europei o che controlla le bacheche dei social prima dei passaporti.
Vi ricordate il caso del visto negato ad un cittadino norvegese? La colpa sembrava essere di un meme contro J.D. Vance contenuto nel suo cellulare, nei documenti ufficiali invece è saltato fuori un consumo di stupefacenti recente che avrebbe comportato il respingimento d’ufficio.
Dall’insediamento di Trump, gli Stati Uniti sono diventati il bersaglio perfetto di questo tipo di deformazioni. È una questione di distanza fisica, culturale e politica. L’America è lontana, complicata da capire, e al tempo stesso familiare, perché la sua cultura popolare e i suoi conflitti politici fanno parte anche del nostro immaginario. Raccontarla male è facile.
Ogni anno, il Reuters Institute for the Study of Journalism, l’istituto di ricerca inglese fondato nel 2006 ad Oxford, stila il Digital News Report che analizza l’affidabilità e la diffusione dei media online.
Ci dice che la fiducia in quelli italiani è bassa. Un problema strutturato, che il giornalismo italiano si porta dietro già dal secolo scorso e che, con l’era della digitalizzazione, si è ancora più acuito.
Una delle cause è sicuramente Internet, gioia e dolore dell’informazione, per quanto riguarda il reperimento delle fonti o il loro (mancato) controllo. Bisogna essere veloci, pubblicare prima il titolo più accattivante.
In Italia, rispetto all’estero dove esistono dei veri e propri team che si occupano solo di fact-checking, l’attenzione verso questo lavoro è ancora troppo bassa ed è particolarmente evidente quando si tratta di notizie lontane, che riguardano altri paesi o se si tratta di “innocue” notizie di costume o curiosità, come quella di un tunnel che potrebbe connettere Londra e New York.
La priorità ce l’ha il click e, infatti, ciclicamente viene riproposta con titoli che non sembrano lasciare spazio a dubbi: un tunnel che si farà.
Così il lettore italiano – che magari non è ingegnere civile né esperto di logistica transoceanica, e che sta facendo colazione davanti allo smartphone – si convince che tra qualche anno potrà imbarcarsi su un Frecciarossa diretto a Broadway, passando sotto l’Oceano Atlantico, senza chiedersi chi troverà 15,000,000,000,000 (si legge trilioni) di dollari, ovvero i costi stimati, per permetterglielo.
Perché verificare la fattibilità di un progetto quando basta rilanciare un video su TikTok che lo spiega in 40 secondi? C’è davvero qualcuno che aprirà i documenti del Massachussets Institute of Technology per smentirci? Quello che conta è che il lettore, scrollando, si stupisca. Che dica: “Pensa te questi americani”, e passi oltre.
Vale lo stesso anche per la notizia del rivoluzionario grattacielo che sarebbe dovuto sorgere a Manhattan, all’Hudson Yard, precisamente al 418 di 11th Avenue, e che i giornali italiani davano praticamente per certo: esattamente come il tunnel Londra-New York, anche questo grattacielo avveniristico, studiato per sembrare “montato” al contrario, sarebbe stato presto parte integrante dello skyline della città.
Fatto il titolo, fatta la notizia. Dopodiché, dal 2022, tutto tace. Il progetto è rimasto sulla carta, su quel lotto nel frattempo è stato varato un altro progetto, quello di due torri da 1,35 miliardi di dollari che non sono poi tanto distanti dal resto dell’architettura moderna offerta dalle strade di New York. Ma nessuno si è sognato, in Italia, di alzare la mano e dire “Ecco, vi ricordate il grattacielo che vi abbiamo raccontato fosse praticamente in costruzione – anzi, che dico in costruzione, è quasi lì, ultimato, vedete, ci sono anche i rendering…?! Beh, non l’hanno più fatto. Grazie del click, comunque!”.
Questo meccanismo – semplificare, distorcere, rilanciare senza approfondire – funziona esattamente allo stesso modo per il tunnel sottomarino come per le politiche migratorie degli Stati Uniti, i divieti sanitari della California o le leggi sul possesso di armi in Texas. Sono storie che parlano più delle nostre paure e delle nostre fantasie sull’America che dell’America reale. È bene saperlo.
L’articolo L’America, quanti limiti nel raccontarla proviene da IlNewyorkese.