C’è chi rincorre il sogno americano per fuggire da qualcosa e chi, come Arianna Masotti, ci arriva spinta da un’idea. Psicologa e founder di Bloome, Arianna ha trasformato la propria esperienza personale e professionale in un progetto che unisce allenamento fisico e benessere mentale, creando percorsi di crescita che vanno oltre i confini dello studio tradizionale. Dopo aver costruito a Londra una carriera in ascesa, oggi è a New York, dove continua a coltivare il suo sogno: creare connessioni autentiche in un mondo iper-connesso ma sempre più solo. In questa intervista ci racconta la sua storia, il suo metodo e il prossimo passo: un format televisivo per portare il benessere psicofisico anche sugli schermi di Los Angeles.
Raccontami un po’ di te: sei italiana ma sei a New York. Come ci sei arrivata? Qual è stato il tuo “American Dream”?
Diciamo che è un po’ la storia della mia vita. Ho sempre avuto la valigia sotto il letto e le mani sporche d’inchiostro. Sono arrivata prima a Londra, cinque anni fa, dove ho convertito il mio titolo di psicologa dall’italiano all’inglese. È stata un’esperienza a 360 gradi: stavo leggendo un articolo sull’arteterapia e, siccome mi è sempre piaciuto leggere le note a fine pagina, ho preso un biglietto di sola andata e mi sono presentata a Camden Town per chiedere un tirocinio.
Ovviamente mi hanno detto: “Non sai l’inglese, non possiamo prendere studenti così”. Ma io mi sono presentata ogni giorno, aiutando a preparare la terapia di gruppo, portando i pennelli, finché l’ultimo giorno mi hanno concesso il tirocinio. Da lì mi sono detta: “Un giorno capirò cosa sta dicendo il presentatore della BBC”. Così è iniziata la mia immersione totale nella lingua inglese. Ho lavorato per anni nell’hospitality fino alle tre di notte e mi svegliavo alle sette e mezza del mattino per studiare e superare i test. Il giorno in cui sono diventata psicologa è stato bellissimo: tutte le persone che mi erano accanto hanno assistito a questo percorso. È stata una rinascita.
Dopo esserti affermata come psicologa a Londra, come hai iniziato a costruire il tuo progetto personale?
A quel punto mi sono chiesta: posso essere una psicologa come tanti altri, oppure posso creare la mia strada? Ho parlato con il CEO di due palestre nel centro di Mayfair e gli ho proposto un progetto: l’esercizio fisico è un ottimo modo per gestire lo stress e le lunghe ore di lavoro, ma quando serve qualcosa di più, parlare può essere la chiave. Mi ha detto: “Per un mese offriamo sedute gratuite a tutti i membri della palestra e vediamo come va”. In due mesi ero fully booked. Così ho aperto il mio studio proprio di fronte alle due palestre.
Tu conoscerai il detto “mens sana in corpore sano”: ho notato la differenza tra i clienti che arrivavano dopo una lunga giornata in ufficio, molto stressati e negativi, e quelli che venivano dopo l’allenamento. Questi ultimi avevano endorfine e dopamina in circolo, quindi erano più aperti e positivi. È stato lì che ho creato il concetto di “post-workout therapy”: in quel momento di apertura iniziavo a costruire nuovi mindset. Ho visto, negli ultimi due anni, uomini e donne migliorare la loro autostima proprio perché erano in uno stato più ricettivo e propenso a parlare.
Ed è così che nasce Bloome e il tuo trasferimento a New York?
Così è nata Bloome. Per anni ho cercato un posto da chiamare casa, ma ho capito che ovunque tu pianti il seme della tua idea, con la giusta cura—terapia, allenamento, nutrizione—puoi germogliare e raggiungere il tuo massimo potenziale. Quando ero fully booked e avevo molti pazienti, ho sentito il bisogno di qualcosa di più grande. Per questo sono venuta a New York: sono sempre stata spinta dal desiderio di trasmettere un messaggio più ampio e raggiungere quante più persone possibile.
Quando ho sentito di aver raggiunto un plateau a Londra—ero in ufficio dalla mattina alla sera—mi sono detta: “Ora voglio creare una community”. Oggi siamo super connessi, eppure viviamo una “loneliness epidemic”. Il mio scopo è creare una community basata su quattro pilastri: aiutare le persone a passare da uno stile di attaccamento ansioso a uno sicuro, uomini e donne a uscire da carriere in cui si sentono intrappolati e fare il next step, aiutare a migliorare l’immagine corporea in un’epoca bombardata da immagini irrealistiche, e infine lavorare sull’autostima. Se una persona si parla in modo positivo e si vede già come il protagonista della propria storia, allora non ci sono più barriere.
Così ho fatto la valigia e sono partita per New York. Qui abbiamo organizzato tanti eventi di attivazione: le persone hanno bisogno di allenarsi, ma anche di parlare e aprirsi. Perché se ci pensi, ognuno ha una dipendenza: c’è chi, dopo una lunga giornata, beve un bicchiere di vino, chi fuma durante la pausa, chi si consola con snack e zuccheri. Poi ci sentiamo in colpa. Il mio messaggio è: rompiamo questo ciclo. Non deve essere tutto bianco o nero: una persona può essere healthy e godersi comunque la vita. Nessuno aveva mai pensato di combinare la terapia con l’allenamento. Ora si vedono wellness center che associano cure e massaggi all’attività fisica, ma tutto parte dalla mente.
Pensi che sia stato più semplice portare avanti questa idea di terapia all’estero piuttosto che in Italia? In Italia è più difficile unire mondi che sembrano così distanti?
Penso che ci siano due tipi di intelligenza: quella accademica e quella di strada. L’intelligenza accademica è quando fai la triennale, la magistrale, il tirocinio non pagato, l’esame di Stato. Molto spesso ti trovi in comunità che ti dicono: “Ok, vediamo il potenziale, ma riparliamone quando avrai 30 o 35 anni”.
Viaggiare invece è come leggere in movimento. Impari molto di più quando ti ritrovi in un paese dove non conosci la lingua, non conosci nessuno e devi sopravvivere. Nessuno te lo insegna all’università. È una forma di intelligenza pura, che ti obbliga a unire i puntini da solo. Quando torni in Italia, torni con un bagaglio ricchissimo.
Mi porto sempre dietro una poesia di Kavafis, quella che parla di Ulisse: per anni aveva in mente Itaca come meta, ma non si rendeva conto che era il viaggio ad averlo reso ricco—le persone, i profumi, i sapori, le culture. Io ho l’Italia nel cuore e un giorno ci tornerò, ma per ora sono felice di essere all’estero. Altrimenti non sarei qui a parlare con te.
Parliamo un po’ della partnership con Technogym. Com’è nata e in cosa consiste?
Abbiamo organizzato un bellissimo evento che univa una sessione di allenamento—che poteva essere HIIT, Strength o Pilates—a un momento di confronto. Dopo l’allenamento ci siamo seduti e abbiamo parlato di come ci sentivamo. Molte persone vivono proiettate nel futuro, pensando “Oddio, se domani non finisco tutto, sarà un disastro” oppure rimuginano sul passato, su cosa avrebbero dovuto dire o fare.
In questi momenti di community, specialmente nei centri wellness, ci sentiamo tutti umani. Siamo nel qui e ora. Le persone si spogliano, metaforicamente, e iniziano a parlare di questa “Deliveroo Society”, dove facciamo swipe e scroll continui, alla ricerca di qualcosa di più interessante. Non ci fermiamo mai.
Abbiamo parlato anche di immagine corporea: molte persone si allenano per potersi concedere una cena più abbondante o un bicchiere di vino in più. Ma se invece vedessimo l’allenamento come un empowerment, un modo per sentirci energizzati e più sicuri quando entriamo in una stanza?
E invece il percorso con la personal trainer, come è nato?
In Italia abbiamo un po’ questo stereotipo dell’intellettuale alla Leopardi: studio, malinconia, sofferenza. Se ti prendi cura del corpo sei superficiale o vanitoso. Ma io con Bloome mi rifaccio all’antica Grecia: un santuario per corpo e mente. Pensa all’Acropoli: c’erano centri in cui si parlava di letteratura, poesia, politica, religione… ma ci si allenava anche. Perché corpo e mente sono connessi.
Se un giorno ti senti gonfio, non in forma, avrai pensieri negativi e la tua performance sarà peggiore. Se invece non sei al massimo mentalmente, non avrai voglia di allenarti o anche solo di fare una passeggiata. Quando parlo di allenamento, intendo anche solo muovere il corpo nella forma che più ti fa stare bene.
Mi dicevi via mail che il tuo progetto diventerà anche un TV show a Los Angeles?
Sì, sono in conversazione con Rehan Jalali, il personal trainer di Sylvester Stallone e Ben Affleck, e di tanti altri attori che sfilano ai gala di Los Angeles. Quello che ammiro di lui è che è partito dal nulla: è arrivato negli anni ’90 a Los Angeles e, con la sua determinazione, ha costruito un impero.
Quando mi ha conosciuta mi ha chiesto di partecipare a un programma televisivo. Per me non c’è modo migliore di trasmettere un messaggio più grande. Non sono motivata dal guadagno o dalla fama, ma dal desiderio di lasciare un segno, di rimanere nei libri di storia. È questa la passione che ogni giorno mi fa andare avanti.
L’articolo Bloome, ovvero come una psicologa vorrebbe cambiare il modo in cui pensiamo alla terapia proviene da IlNewyorkese.