Da oggi 10 giugno e fino al 14 settembre, al Paul Getty Museum di Santa Monica, Los Angeles, sarà possibile ammirare il dipinto Ercole e Onfale di Artemisia Gentileschi, al centro della mostra Artemisia’s Strong Women: Rescuing a Masterpiece. La possibilità di vedere il dipinto non è affatto scontata: lo stesso, infatti, è sopravvissuto miracolosamente all’esplosione del porto di Beirut nel 2020: giaceva assieme alla collezione privata di famiglia della 98enne Yvonne Sursock Cochrane, tra le 200 vittime dell’esplosione.
Prima di allora, del dipinto – e anche de La Maddalena, un secondo quadro di Artemisia Gentileschi recuperato nello stesso frangente ed oggi esposto a Napoli – non si avevano notizie da oltre un secolo e le informazioni al riguardo erano molto scarse. Ci sono voluti diversi studiosi per il restauro e l’attribuzione della paternità ad Artemia Gentileschi: a identificarne l’autrice fu inizialmente lo storico dell’arte libanese Gregory Buchakjian, e successivamente la paternità è stata confermata da altri studiosi, tra cui Davide Gasparotto, curatore senior al Getty.
Ercole e Onfale prima del restauro: evidenti i danni della tela a seguito dell’esplosione del porto di Beirut | © 2022 J. Paul Getty Trust
Ma tra i due dipinti, quello di Ercole e Onfale resta il più importante e chiacchierato: la tela misura due metri e mezzo per due metri e raffigura il celebre episodio mitologico in cui Ercole, condannato all’umiliazione per espiare un omicidio, serve come schiavo Onfale, regina di Lidia. Nel quadro di Artemisia, infatti, i ruoli tradizionali della rappresentazione eroica sono capovolti: l’uomo è seduto, intento a filare la lana, compito solitamente riservato alle donne, mentre Onfale indossa la pelle del leone, tipico degli eroi. L’inversione di potere è un tema molto ricorrente nella produzione di Gentileschi, soprattutto negli anni trascorsi a Napoli.
Il restauro è stato eseguito nei laboratori del museo californiano, con l’intervento del conservatore Ulrich Birkmaier e del restauratore italiano Matteo Rossi Doria. La tela presentava lacerazioni e perdite di colore causate dalla pressione dell’esplosione e dai detriti. I lavori sono durati più di due anni e hanno riguardato anche il consolidamento del supporto e la rimozione di precedenti interventi. L’intera operazione è stata documentata e sarà parte integrante della mostra.
Dettaglio dei danni su tela | © 2022 J. Paul Getty Trust
Dettaglio dei danni su tela | © 2022 J. Paul Getty Trust
Artemisia Gentileschi nacque a Roma nel 1593, figlia del pittore Orazio Gentileschi, da cui apprese i primi rudimenti della tecnica pittorica. Fin da giovane si formò in un ambiente dominato da artisti legati alla rivoluzione naturalistica di Caravaggio, la cui influenza si ritrova chiaramente nella sua opera. La sua carriera artistica si intrecciò molto presto con la vicenda giudiziaria che la vide protagonista nel 1612, quando testimoniò in un processo per stupro contro Agostino Tassi, collega del padre. Il processo, documentato con verbali dettagliati, ha contribuito in tempi recenti a rinnovare l’attenzione sul suo lavoro, spesso letto anche alla luce della sua esperienza personale.
Dopo il processo lasciò Roma e lavorò in diverse città italiane, tra cui Firenze, dove fu la prima donna ammessa all’Accademia del Disegno. Operò poi tra Venezia, Londra e soprattutto Napoli, dove trascorse buona parte della sua vita professionale e dove trovò committenze importanti, sia religiose che private.
Gentileschi fu una delle pochissime pittrici italiane del Seicento a ottenere riconoscimenti da viva, anche se la sua figura fu poi a lungo marginalizzata dalla storiografia ufficiale. Il ritrovamento del quadro ha rinnovato l’interesse verso la pittrice, che aveva già vissuto una rivalutazione nel corso del Novecento per l’originalità dello sguardo ed il ruolo di rilievo che ricopriva in una società ancora profondamente ad appannaggio maschile: a differenza di molte sue contemporanee, Gentileschi si misurò con soggetti complessi, spesso drammatici, e con formati monumentali più spesso affidati agli uomini.
L’occasione di vedere Ercole e Onfale rimane limitata al periodo di esposizione del Getty Museum: il futuro della tela resta infatti legato a Beirut, dove la famiglia Sursock, proprietaria dell’opera, ne auspica il rientro definitivo una volta conclusi i lavori di ripristino nel palazzo di famiglia.
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